BUONO DA PERDERE LA TESTA.

La voluttà, vi prego, sull’amore! Metteteci le mani, imbrattatevi i grembiuli, o almeno provate a credere ai biglietti che avvolgono i cioccolatini. Sì, perché se San Valentino ha un barbaglio di utilità, questa sta nel ricordarci ogni anno quanto sia complicata la manutenzione degli affetti: amarsi un po’ è come bere, però volersi bene no, partecipare, è difficile quasi come fare a mano i cioccolatini da regalare. (Roberta Scorranese per cucina.corriere.it)

Ma la notizia copSin da quando l’essere umano ha imparato ad usare le parole in senso compiuto, la comunicazione e lo scontro tra punti di vista diversi hanno creato quel complesso ed intricato labirinto che è la relazione umana, all’interno della quale abbiamo accettato di vivere sotto il peso di mille interrogativi, di cui la maggior parte rimane insoluto e ci pone di fronte ad un bivio dove alla solitudine si preferisce più spesso la piacevole sopportazione. E tertium non datur.

L’applicazione più comune di questo assunto riguarda quel rapporto particolare che si instaura tra due esseri umani che decidono di condividere un percorso della loro vita, che viene identificato con la parola amore, la cui etimologia ci riconduce alla negazione della morte e quindi ad un principio vitale da cui nessuno è escluso (disillusi compresi)

Ma come dire, il salto dalla teoria alla pratica è alquanto ardito e pericoloso e lo sa bene chi almeno una volta nella vita ha pensato di qualificarsi come innamorato. Meglio prepararsi a concludere ogni ragionamento ammettendo di non capirci nulla.

Vivere amore, quello che Federico Moccia definirebbe, non senza suscitare guizzi esofagei, con la A maiuscola, significa sin dalla notte dei tempi, dare prova reciproca di interesse sia in presenza che in assenza: pensiamo ai cavalieri dell’amor cortese che vagavano per giorni in mezzo a mille pericoli peggio dei livelli di Super Mario Bros e giungevano dalla loro bella dama, sporchi, affamati e arrapati per sentirsi ringraziare solo con un cenno della testa, oppure ai romanzi ottocenteschi, dove le eroine borghesi erano disposte a lasciare signorili dimore, dove il lavoro più duro era pettinarsi le chiome, per bettole di periferie, tra tazze e cucchiai, con la sola consolazione di un marito contadino extradotato (e scusate se è poco, direbbe qualcuna).

Ma oggi dirsi ti amo non significa più dare prova di quel che si dice, dimostrare che quella parola di cinque lettere reca con sé impegno e responsabilità. Almeno non per tutti è così.

L’epoca corrente non richiede le lettere d’amore con quel profumo di acqua di rose che faceva ingiallire le pupille o il gesto eclatante e pubblico, che esponeva a ciclopiche figure di m…, vedi le vecchie serenate travestiti da menestrello con cappello di piuma e calzamaglia aderente verde pisello. Oggi navighiamo nel San Valentino hi-tech, dove dominano strumenti così immediati, che hanno mandato in pensione la fantasia e la voglia si sorprendere con l’effetto di un pensiero che lascia il segno pur costando solo due euro.

Il 14 febbraio celebra non solo l’evento per coppie che aspirano a condividere lo spazio intimo e ristretto di un cuoricino disegnato, ma soprattutto la materia prima con cui nel nostro immaginario rappresentiamo metaforicamente l’amore, ovvero sua maestà il cioccolato.

In origine polvere, ricavata dai grani di cacao, assume poi forme impensabili, recando internamente un meccanismo chimico che favorisce l’implosione nella bocca da cui poi si irradia un’estasi che spesso si associa all’orgasmo. Quando poi è avvolto in carta trasparente recante una frase che sa molto di preliminare o corredato da un piccolo oggetto che rimanda la mente ai giochi d’amore per cui ci si chiama con piccoli vezzeggiativi se la fredda notte stimola abbracci sotto le coperte, allora diventiamo preda dell’imprevedibile e dell’irrazionale e ogni momento può diventare una piacevole scoperta o (ma speriamo di no) una cocente delusione (lo sprovveduto aveva forse comprato cioccolato Made in China…).

Insomma, il prodotto è sofisticato e variegato, celebrato in pubblicità e l cinema. Chi non ricorda Chocolat, con la splendida Juliette Binoche e il bravissimo Jhonny Deep? 

Comunque, il cucciolato bisogna saperlo usare nella maniera giusta e al momento giusto. Se lei si è incazzata con voi proprio alla vigilia di San Valentino perché al cinema vi é caduta la palpebra sul davanzale della cassiera tettona mentre lei ha solo la seconda, è consigliato un po’ di vino accompagnato al cioccolato, giusto per inibire il suo potente rovescio.  Quale vino?

Se lo chiede il New York Times (dilettanti) e noi rimandiamo gli amici americani ai nuovi meme di Malacopia (Se questo è un uovo), il che dovrebbe giovare anche allo humour angloamericano decisamente  poco chocolate.

Che sia al Rum o al peperoncino, nero 70% o con nocciole, il cioccolato riporta l’attenzione sui rapporti umani nella sua funzione di dono apotropaico per la coppia sia di antidepressivo naturale contro le conseguenze dell’amore (per i casi gravi si consiglia la divina Nutella, in barattolo 630g). 

La sua poesia, tuttavia, prescinde da certi cervellotici interrogativi d’oltreoceano e  rimane nel piacere di un attimo, quello in cui quel sapore unico ci introduce ad un mondo ultrasensoriale e magico, qualcosa che si avvicina molto alla definizione di felicità come momento estemporaneo

I suoi effetti sono benefici ma meglio non esagerare: Maria Antonietta portava sempre nei suoi viaggi un cioccolataio, forse perché Luigi XVI le aveva requisito le carte di credito e aveva bisogno di un prezioso oggetto da barattare con piaceri e vizi. Una pralina per pagare un pedaggio, una tavoletta di fondente per una botta e via con il cocchiere, dieci bustine di cacao in cambio di un paio di scarpe del bisbistrisavolo di Dior.

E la duchessa di Polignac la ammoniva: Marie, Marie, tutto questo cioccolato potrebbe farti perdere la testa!

Franz Iaria per malacopia