PERCHÉ SANREMO QUEST’ANNO NON È IL SOLITO SANREMO

Una maratona infinita quella che ci ha accompagnati fino a ieri sera, come nella migliore delle tradizioni Sanremesi, ma che con la tradizione rompe qualunque rapporto, restituendoci una freschezza e contemporaneità che il Festival della Canzone Italiana sembrava non essere più in grado di mostrare.

Il 67° Festival di Sanremo stupisce, fa discutere, divide: per la prima volta dai tempi di Re Pippo abbiamo seguito una kermesse diversa, piena di brani degni di occupare il podio, big della vecchia guardia in splendida forma e giovani che mostrano di avere davanti a sé una carriera promettente.

FINE DEL MONOPOLIO SPACCACUORE

Abituati come siamo alla Sanremesità, ci saremmo aspettati di vedere sul podio solo Fiorella Mannoia tra chi in realtà c’è salito. Interpretando con passione vera un testo molto toccante, ben scritto, accompagnato da una melodia delicata e in grado di metterlo in risalto, con la sua “Che sia benedetta” la Mannoia ci ricorda da dove viene: autorevole voce del nostro panorama nazionale canoro, ci parla con toni paternalistici – e questo non stupisce – ma anche con la grandissima classe che le appartiene per natura.

Però, sorpresa sorpresa, le canzoni più apprezzate dalle varie giurie non sono quelle che parlano con il linguaggio di Sanremo. Quindi:

  • via Al Bano (“OLTRAGGIO!” verrà gridato da chi se la prendeva con Il Volo anni fa);
  • via Gigi D’Alessio, grottesco Re Mida partenopeo che trasforma in neomelodico tutto ciò che tocca;
  • classifica spietata – a malincuore – per uno Zarrillo in splendida forma, colpevole soltanto di essere simbolo di un passato musicale che per anni ha favorito il posizionamento in gara;
  • posizione infelice anche per Chiara, pur essendo “Nessun posto è casa mia” una bella canzone.

GLI ESPERIMENTI DELLA DIREZIONE ARTISTICA

Ottimo lavoro quello di Carlo Conti che ha selezionato artisti e canzoni, forse con l’obiettivo di testare sul pubblico da che parte dovrebbe andare d’ora in poi la kermesse: da una parte la tradizione, dall’altra un principio di innovazione. Fattore quest’ultimo, non strettamente legato all’età: Paola Turci ne è l’esempio. La sua “Fatti bella per te” non fa parte del melodrammatico Sanremese e arriva forte come uno schiaffo con il suo messaggio, grazie anche alla grinta e alla bellezza della sua interprete che dimostra di maturare con gli anni come il vino buono, non soltanto a livello artistico.

Ottima anche la scelta di proporre il giovane Michele Bravi, al quale dobbiamo riconoscere un timbro interessante e del talento: la sua voce, che in alcune sfumature ricorda il più celebre James Blunt, abbraccia con dolcezza, commuove con delicatezza. C’è ancora molto su cui lavorare, ma le carte ci sembrano buone e la voglia di fare bene c’è, senza dubbio.

GLI OUTSIDER

In questo panorama, spiccano quelle canzoni che non ricordano per niente Sanremo, e che ci auguriamo siano sempre più presenti nelle future edizioni.

Primo fra tutti il vincitore, Francesco Gabbani, con la sua “Occidentali’s Karma”. Non ci sono scuse per chi la mette al pari di un jingle da spot pubblicitario: il concetto alla base di questa canzone (leggera sul pentagramma e molto meno di ciò che sembra nel suo testo) è quello espresso dal saggio di Desmond Morris “La scimmia nuda”, che affronta l’uomo dal punto di vista zoologico, ossia come una “scimmia senza peli”, incapace di liberarsi della sua essenza di primate. Niente di più attuale: siamo inglobati dalle mode spirituali importate, ne discutiamo con spocchia sui social senza capirle, le viviamo con il mood tipico di una fashion week e prima o poi karma ci coglierà nel pieno della nostra caduta e ci metterà davanti al fatto che siamo nati e resteremo sempre scimmie, che cadono e si rialzano, senza però liberarsi mai del passato.

Altro brano sul podio e premio Mia Martini meritatissimo, per Ermal Meta: non è facile portare sul palco un’esperienza di violenza, cantarla senza cadere in un tono di vittimismo, darle quella dignità che viene direttamente dalla forza che si è spesa per superarla e con un taglio positivo. Comunicatore per istinto naturale, Meta dimostra intensità e talento. Poteva essere prima, non lo è stata, ma di certo “Vietato morire” ce la porteremo addosso ancora per molto tempo.

Marco Masini “Spostato di un secondo” ha dimostrato di avere ancora quella scintilla mostrata in gioventù in Malinconoia, ma di saperla educare e condurre molto meglio. Bravo, peccato per la posizione non meritata nella classifica generale.

I CONDUTTORI E I SOCIAL

Carlo e Maria, Maria e Carlo hanno dimostrato di sapersi passare il testimone con grande professionalità, quella a cui siamo abituati: lui, unico erede del grande Pippo Baudo, lei contraltare femminile, coniugato nella stessa declinazione. Sportivissimi, non si sottraggono alle incursioni dei giovani The Jackal, che portano il TERMOSTATO alle stelle e ci aggiornano sugli spostamenti di un Vessicchio beatissimo e per nulla dispiaciuto di potersi godere il Festival dal punto di vista dello spettatore.

Al Bariston, piazza popolare quanto il Dopofestival, Mara Maionchi tiene banco insieme al Ceres Social Staff, sempre perfetto e inimitabile (diffidate di chi li scimmiotta: quella è la voce di Ceres, non si può e non si deve replicare). Mara è una maestra di vita, e non tarda a partorire un monito: “Il lavoro duro batte il talento, se il talento non lavora duro”. Come darle torto?

Su Twitter, impazza l’hashtag #Sanremo2017. D’altra parte in rete siamo davvero tutti tuttologi: che abbia ragione Gabbani?

E ANCHE QUESTA CE LA SIAMO TOLTA DA…

La sottoscritta si è proprio goduta questa edizione di Sanremo, dalla prima all’ultima giornata.

Che ci piaccia o no, il Festivalone fa parte di noi, ne andiamo fieri o ne parliamo malissimo, ma lo mostriamo comunque a tutti e, diciamocelo: in fin dei conti non è nemmeno il nostro lato peggiore.

Erika Muscarella per malacopia