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[LA REGINA GUARDA]

Esiste una e una sola fenomenologia dello sguardo femminile ed è racchiusa nelle varie versioni – che, nei secoli, sono state dipinte – di quel capolavoro che è Giuditta mentre decapita Oloferne – che voglio dire, uno con un nome così, che poteva poi pretendere. 

Malacopia_MeseTematico_Sguardo_IlBoudoirDellaRegina_Caravaggio_-_Giuditta_e_OloferneGiuditta conosce Oloferne dopo 4 anni e tre mesi di vedovanza, il che, un po’, le annebbiava la testa. La storiella è simile alle tante storielle che tutti conosciamo: lei ha una strategia, lui è ubriaco, lui ci prova, lei non la prende bene. Lui soccombe. Fine della storia.

Tornando alla storia dell’arte, come primo esempio troviamo la rappresentazione che ne fa Caravaggio nel 1599. Giuditta, tra luci e ombre, tira i capelli di Oloferne con un avambraccio che neanche Mike Tyson, e abbassa lo sguardo, a metà tra il concentrato e il pentito. O forse stava solo pensando a cosa le sarebbe costato, dopo, pulire tutto quel sangue. Una nota di merito va allo sguardo soddisfatto della serva, accanto a lei: “Ben ti sta, vecchio porco”, questo, più o meno, il retro-pensiero.

Malacopia_MeseTematico_Sguardo_IlBoudoirDellaRegina_Gentileschi_Artemisia_Judith_Beheading_Holofernes_NaplesVent’anni dopo, lo stesso omicidio viene immortalato – mai termine fu più adatto – da Artemisia Gentileschi. E qui, la vena femminile dell’Autrice sta tutta in quel sopracciglio sinistro che si alza sullo sguardo di Giuditta nell’atto di trafiggere: lo sguardo trionfante di una donna che sa che, se un uomo non puoi prenderlo per le palle, tanto vale prenderlo per la gola. Letteralmente. Grandi sorrisi dopo e tanti cari saluti.

L’apoteosi arriva però agli inizi del Novecento, con Giuditta I di Klimt. Giuditta non è più colta nel momento del misfatto, ma nell’esaltazione post reato. Non c’è più spazio per il senso di colpa o per la crudeltà efferata, soddisfatta e compiacente. Lo sguardo è alto, di sfida, rivolto a chiunque vorrà trattarla come Oloferne.

Il seno ora è scoperto: Giuditta non è più una vittima di Oloferne, non è più vittima del tardivo senso di colpa, ma viene rappresentata come un Amazzone. Il povero malcapitato, ancora presente negli altri due quadri, si vede solo a metà, con gli occhi definitivamente chiusi: il suo sguardo non c’è più, lui non esiste più, se non come oggetto delle carezze di quel potere di seduzione chiamato Giuditta. 

“Voluttà e perversione” ebbe a dire Federico Zeri; mai provarci con una donna che sa alzare il sopracciglio sinistro, ebbe a dire la Regina. 

La regina

Martina Del Castello per malacopia