Malacopia_racconti_di_primaveraEra una giornata contrassegnata da un caldo davvero opprimente, per nulla fastidioso per i miei gusti che prevedono che io ami cuocermi al sole e godere dell’afa come se fosse qualcosa di intensamente protettivo. Aspettavo da alcuni minuti la corriera che mi doveva portare al mare, e già la mia attenzione era tutta rivolta a un uomo che si trovava (meglio sarebbe dire: si perdeva) a una decina di metri da me. Era seduto su una piccola sedia in paglia sistemata proprio vicino alla porta di casa sua. Aveva in mano un bicchiere vuoto non si sa da cosa, e se ne stava così, quasi immobile, come se fosse rassegnato al suo dover esistere. Il suo sguardo era fisso nel vuoto, rivolto a qualcosa di lontano, difficile capire se riguardasse lo spazio o il tempo. La cosa che, a una seconda occhiata, mi colpì in quell’uomo fu la straordinaria simmetria del volto. Gli occhi, oltre che identici nel colore, avevano un’espressione gemellare che mai avevo riscontrato in altri visi, le orecchie avevano la stessa attaccatura e la stessa forma e così le narici e, in qualche modo, le narici ricordavano la forma delle orecchie. Il naso scendeva dritto alla meta senza preferire in nessun momento un lato rispetto all’altro. Lo stesso naso e la bocca dividevano perfettamente la faccia in due ed, inoltre, la bocca presentava una supplementare quanto anomala simmetria rispetto al suo asse orizzontale. Infine, ultima annotazione, i capelli erano divisi da una riga nel mezzo, e quando parlo di mezzo non mi riferisco ad un mezzo approssimativo, ma a diecimila capelli di qua e diecimila capelli di là, tanto per intenderci. Ma, finalmente, la cosa che davvero mi colpì e affondò nel mio stupore fu l’elemento che rompeva quella simmetria: una cicatrice che gli partiva dalla tempia destra e che, attraversando la fronte, scendeva sulla guancia sinistra per poi disegnare una lieve curva all’altezza del collo prima di scomparire sotto la camicia.

Ma non finisce qui, perché la cicatrice continuava, presumibilmente, lungo tutto il busto e parte della gamba, giacché eccola ricomparire con la stessa intensità e con lo stesso carattere sotto i bermuda di tela che l’uomo indossava a causa di quel caldo davvero insopportabile ai più. Dopo essersi inoltrato sul polpaccio quel segno scompariva di nuovo sotto uno dei sandali. Mentre cercavo di immaginare a che razza di tremendo incidente l’uomo fosse andato incontro e alla serie di operazioni che avesse dovuto subire, mi accorsi che all’altezza del suo piede partiva, sul terreno sottostante, una leggera crepa che si allontanava a perdita d’occhio.

Ovvio che quella crepa fosse il logico proseguimento della cicatrice. Misteriose le origini dell’una e dell’altra. Potenzialmente poetica l’immagine complessiva, e tutta la vita che ne ricavai.

Luciano Manzalini