Apologia di una città amata.

Malacopia_Diario_di_bardo_copGli stranieri li riconosci subito, per lo più perché alle prime gocce di pioggia si affannano a cercare un ombrello da aprire. Gli altri, quelli di qui, si lasciano accarezzare da quest’acqua pendente, senza cappuccio. Quelli più insofferenti, al massimo, fermano il passo sotto un tendone, estraggono lo smartphone e aspettano.

I dipendenti della nettezza urbana, sotto un nubifragio estivo, cambiano i sacchi di plastica dei cassonetti con la stessa quiete con cui lo fanno sotto il sole.

La gente comune ha voglia di parlare di sé, delle sue piccole vanità. Così Athina, al rosso del semaforo, ti racconta che in Africa no, non li si incontra mai questi nuvoloni neri che ci minacciano, lei dall’Africa e me dall’Italia. E Mouss, 59 anni a settembre, ti dice che una volta nel suo bar è arrivato un attore italiano, ma non ricorda il nome, però era famoso dice. Mouss ama la musica italiana. Cosa ti piace? Drupi. E va alla ricerca di un cd dei Ricchi e Poveri con cui si convince di deliziare il pub. È il suo regalo per me.

Poi se sei tu a raccontare di te e sveli che sei napoletano, non possono fare a meno di dirti che oddio, quanti ne hanno conosciuti, tanti, quasi tutti sembra, anche se d’inverno indossano tutti il Woolrich e in primavera le Hogan. “Tu sei elegante, invece”, dicono.

Il sole non lo vedi mai tramontare. Forse non tramonta. Invece no, io lo so, tramonta. Una volta l’ho visto sparire nel rosso e nel viola come da noi.

I senza tetto stanno agli angoli, intere comunità di bambini scelgono il loro pezzo di marciapiede e, come in un campeggio, sistemano le coperte. Fa caldo, ma è una questione di pudore. In pochi dormono: per lo più stanno a guardare.

In metro, quelli di qui si alzano dal sedile poche frazioni di tempo prima che l’allarme segnali la chiusura delle porte. Non un attimo di più. Nessuno si prepara. Eppure, una volta messo il piede oltre la soglia, inizia la loro corsa verso l’esterno, come fossero mossi da una fretta per un po’ dimenticata.

In poche strade manca una libreria. La città ingoia pagine d’ogni dove, non dimentica nessuno. C’è quella polacca, quella tedesca, la portoghese, la russa e l’italiana. Alcune, durante la settimana, aprono alle 7.30. Prima dei supermercati e delle gastronomie. In metro si legge solo se il vagone è poco affollato: e molte sono le linee a poter vantare questa atmosfera distesa. Come avvertiti da un cicalino interiore, quelli di qui, assorti nei loro libri, sanno perfettamente quando alzare la testa e scendere.

La domenica la città si trasforma in un’ombra architettonica di se stessa. I viaggiatori vagano spaesati come zombie scaraventati su un paesaggio lunare. E i negozi, ad agosto, chiudono per ferie. Anche un mese, anche di più.

Non sono silenziosi. Sanno alzare la voce austera e sanno ridere fragorosamente. I bambini piangono come da noi: solo che vengono ignorati dai grandi, così dopo un po’ smettono. I matti, invece, quelli proprio non sanno zittirsi.

I quartieri, a prima vista, sembrano l’uno la replica dell’altro. I tetti, i colori dei palazzi, le inferriate alle finestre, le pulsantiere per accedere. Ma più ci cammini più scopri una linea di confine affilata, tracciata come un laser tra una porzione di città e la sua prossima. In ciascuna un’identità sottile, caratteri autonomi che sfiori negli sguardi della gente, al mercato o sotto una pensilina.

Le sedie dei bar guardano la strada. Quando è mattino presto, sembrano pronte a sfidare un plotone di esecuzione, perfettamente accostate le une alle altre con la possibilità, se non lo si vuole, di non guardarsi mai mentre si osserva il mondo. A sera sono un po’ più disordinate, qualcuna disobbedisce, ma solo un po’.

Sei come mia madre. Austera, ma capace di grandi slanci. Silenziosa e riservata, ma solida e presente. Mio padre e io somigliamo più a Napoli: sfacciatamente generosi, da noi te lo aspetti. Da voi no.

Come i grandi amori sei stata capace di farmi sentire, in una strettissima coincidenza di istanti, forte come un bestia feroce e fragile come un germoglio la cui sopravvivenza dipende dalla generosità altrui. Piccola e insignificante e al contempo maestosa e solenne come i tuoi palazzi.

Avevo litigato con te, Parigi, ma ora abbiamo fatto pace. Solo che mi manca il mare.

Chiara Di Martino in viaggio con malacopia