Malacopia_Diario_di_bardo_copQuesta è una cosa a metà tra un racconto e diario di viaggio. In realtà, sarebbe meglio dire che non è né l’uno né l’altro. Insomma è una cosa che nasce dalla negazione di due generi. Come dire che uno meno uno fa due.

Ok, la parte filosofica è finita.

Passiamo a Madrid. Allo spagnolo, per la precisione.

Lo spagnolo mi piace per due motivi. Il primo è che mi riesce. Sarei un masochista imbecille se mi tuffassi ogni cinque minuti, che ne so, in Germania. Il tedesco non è una lingua che parli e pensi «ah come sono contento!» Non lo è per me, almeno. Quindi vado in Spagna, dove si parla lo spagnolo che mi riesce proprio bene, e senza averlo studiato.

C’è una cosa che mi piace tantissimo dello spagnolo, ed è il fatto che sembra una spremuta di etimologie poetiche. Sì, lo so, sto dicendo una brutale banalità. Chiunque imiti lo spagnolo si mette la faccia da Cervantes, il sopracciglio da Lorca ed imposta la voce da Rodriguez el torero follador. Ma io non sto parlando di questo. Io sto dicendo che in metropolitana trovi un messaggio del tipo:

Desbloqueo de puertas.

Levantar la tapa y

accionar la llave

según la dirección

de la flecha

e che non ha niente ad invidiare a:

Ella se ne va sentendosi laudare

benignamente d’umiltà vestuta

e par che sia cosa venuta da cielo

in terra a miracol mostrare.

 

Insomma, anche in metro pare di stare insieme a Dante, Guido e Lapo a parlare di topa, o di tapas.

Ormai a Madrid ci vado senza nessuno scopo turistico. Ho visto tutto, sono stato nei musei, ho fatto le fotine alle cose belle e ho mangiato i churros nei bar scalcagnati. Quindi me la prendo comoda e mi permetto pure di farmi le mega pennichelle nel B&B di Julen (che puzza pure un po’ di fogna di ritorno). L’importante alla fine è parlare con Miguel (nome fittizio, per ovvio rispetto di privacy), che mi dà appuntamenti sempre intorno a mezzogiorno e che, da quando mi prende a quando mi lascia, mi offre un servizio impeccabile di guida, psicologo, amico di vecchia data, padre e orecchio assoluto.

Con Miguel non è che ce la spassiamo. Non pensate al tipico madrileño che ci va di cerveza e sta sveglio mille ore al giorno. È padre di famiglia, gestisce un matrimonio in crisi e ha soldi giusti giusti per non morire di fame. Io e Miguel parliamo. O meglio, è lui che mi si piazza davanti e mi dice: dai, racconta. E io, ovviamente, racconto. Racconto così tanto che quasi mi sembra male che lui ha problemi davvero seri e io sto lì a parlare come una ragazzina. E mentre parlo di tanto in tanto mi ferma e dice: sabes que pienso?, e di norma quello che piensa è esattamente quello che dovrei pensare io. E me lo dice con lo scopo di mettere in ordine tutti i miei pezzettini bidimensionali.

Sempre riguardo a Miguel, ho deciso che è il personaggio perfetto per un film/documentario pieno di silenzi e con la camera che traballa. Ho avuto il flash quando mi ha mostrato la fondazione con cui collabora (gratis, ovviamente). Prima di farmi entrare mi ha detto: attento Andrea, questo è un submundo. E in effetti…vabbè, loro stanno lì, nel sudicio e nel diroccato più totale ad aiutare vecchie trans rimbambite che lasciate sole non sopravvivrebbero un giorno.

Me gustan los tíos extraños, mi dice un po’ divertito.

Lo dico senza tema di immodestia: andare a Madrid da solo mi ha sempre fatto sentire un po’ fico. «Ehi mamma, vado a Madrid.»

«Ah, bello amore. Bravo. E con chi?»

(pausa)

«Mamma, con chi vuoi che vada? Da solo!»

Poi dico che ho amici lì – spagnoli ovviamente – e l’immagine del globe trotter senza paura è completa.

Questa volta però nel B&B di Julen mi sono beccato due compañeros de piso che a confronto la mia era la gita delle elementari all’orto botanico. Uno – francese, credo – si stava facendo il giro dell’Europa da solo. L’altro – argentino – una cosa simile, sempre solo. Tra l’altro l’argentino si chiama Gonzalo (Andale! Andale!) e già col nome ci sotterra a tutti, no? Diciamo che in confronto a loro mi sono sentito la versione scrausa della Barbie. Com’è che si chiamava? Kelly? Tanya? Ah sì: Tanya Miss Toddando Learie Amminchia.

A proposito di Gonzalo (venga torero!!!), Julen mi ha chiesto il piacere di riceverlo io al posto suo, perché lui lavorava. Certo Julen, figurati! Tutto per te, dopo che ti sei dimenticato che sarei arrivato il 19 e per la prima notte mi hai rimediato un B&B di fortuna più ganzo del tuo con il bagno in camera pagando la differenza!

Il giorno dopo, mentre ero con Miguel, Julen mi ringrazia via messaggio e aggiunge: ti devo una caña (ovvero, bicchiere piccoletto di birra)

Io: «Guarda cosa mi ha scritto Julen!»

Lui: «Ti sta abbordando…»

Io: «Ma è fidanzato!» (voooola mio minipony! Vooooola mio minipony vai, vooooola!)

Lui: «Vabbe’… Lo sai, vero, che una caña costa un euro e cinquanta?»

Io (mentre piovono carcasse di mio minipony): «Ah, ecco.»

Lui: «Scrivigli che l’euro e cinquanta fa prima a lasciartelo sul tavolo.»

Andrea Meli in viaggio con malacopia