2. NELLA PANCIA DELLA BALENA

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Completamente bagnato. Il fazzoletto è già completamente bagnato a forza di asciugare gli spruzzi di quei fiori che solo bambini ingenui e clown dispettosi trovano divertenti. Io già rimpiango la scelta dei primi posti. Per fortuna sono sempre stato un tipo previdente, per cui ho messo un fazzoletto in ogni tasca e penso avrò presto modo di usare gli altri. Anche perché a Nonno Cino hanno subito cominciato a lacrimare gli occhi e – sospetto – non tanto per la polvere quanto per tutto ciò che quest’atmosferma gli riporta alla mente.

“Mentaaaaa”. È il segnale in codice che Nonno Cino lancia quando vuole una delle sue caramelle alla liquirizia che porta nella sacca appesa alla carrozzella. È da anni che cerco di spiegargli che così facendo non chiede ciò che realmente vuole, ma Nonno Cino, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali – non si dubiti – è un tipo decisamente ostinato e, di conseguenza, ogni tanto glielo faccio presente (non riesco a farne a meno), ogni tanto lo assecondo.

Mentre mi piego a prendere una liquirizia a caso, mi accorgo che il profumo della caramella è solo un’ipotesi in confronto al trattato di odori che il tendone ci presenta: in ordine di apparizione – terra bagnata, sterco, borotalco, croste di caldarroste, incenso, cioccolata sciolta, sudore d’elefante, code tese, nasi di gomma, finta pelle e limone.

Quell’insieme di effluvi misto alla temperatura non proprio fresca mi dà l’impressione di trovarmi nella pancia di un gigantesco animale: facciamo una balena.

All’improvviso sobbalzo ad uno squillo di tromba, col quale un po’ più in là l’ultimo clown dà il LA all’uscita della banda. Una piccola ma rumorosa fanfara di 6 elementi che compie tre giri di pista suonando un allegro motivetto che fa all’incirca così: la, la, la la, la, lalala, lala, la, la, lala, lalala, la e che Renatino, entusiasta, sembra subito imparare a memoria: “la, la, la la, la, lalala, lala, la, la, lala, lalala, la”!   

A un calo di luci, a un aumento di tensione, a un rullo di tamburi si spalanca l’occhio di bue. Applausi e grida d’incitamento e stupore accompagnano l’entrata nell’arena di un mezzo gigante a cavallo di un orso, che riconosco come presentatore dagli abiti cangianti che gli tingono la barba d’arcobaleno. La sua voce si fonde al rugliare dell’orso in un possente benvenuto al pubblico e agli artisti che si esibiranno: un’equilibrista apripista, giocolieri stranieri, nani nostrani, pagliacci senza lacci, maghi con gli spaghi, domatori di tori, una contorsionista solista, trapezisti ottimisti, acrobati senza rime e tanti altri, anzi tanti tanti tanti altri. Davvero troppi, rifletto, anche per un indimenticabile regalo di compleanno per Renatino.

E, finalmente, giunge la fine del principio, la conclusione dell’inizio, l’arrivo della partenza. Tutti tacciono e, nonostante siano fermi, riescono a farsi ancora più immobili, praticamente statue. In quella sospensione, in quel galleggiamento scorgo – per la prima volta ma certamente l’ultima – la portinaia del mio stabile in un silenzio che sa di prodigio. Finora, la sola cosa che sia riuscita a stupirmi.

Renatino sembra tra tutti il più incline allo scatto d’entusiasmo. Il piede puntato per terra, le braccia sui braccioli della sedia – scomoda, neanche a dirlo – pare un atleta destinato alla falsa partenza. “Zio…” – si distrae Renatino ma la sua frase viene interrotta dallo sparo: è la voce del presentatore.

Niente è per forza e tutto è per caso,

se chiudi  gli occhi ci vedi col naso

se poi stropicci bene la mente,

mischi le carte ed il tutto è già niente.

Qua quasi quasi ci va la morale,

anche una a caso,  per quello che vale,

vale più il dubbio di ogni saggezza,

è il caso l’unica vera certezza.

Abbozzo un sorriso sarcastico. Mi volto verso Nonno Cino – batte le mani mentre sputacchia la liquirizia – poi verso Renatino. Accidenti. Solo ora mi accorgo che non è più al suo posto.

Luciano Manzalini

Illustrazione di Loris Dogana.