una-specie-di-alaska-harold-pinter-teatro-libero-milanoCome buon auspicio per l’anno nuovo, dal 10 al 19 gennaio alla Galleria Toledo di Napoli torna in scena ‘Una specie di Alaska’ che Valerio Binasco aveva già portato alle scene qualche anno fa in un ottimo stato di grazia e che riprende in questa movimentata e travagliata stagione, grazie alla generosità del produttore Angelo Giacobbe per NidodiRagno, e con la consueta complicità degli straordinari interpreti di allora.

Scritta da Harold Pinter nel 1982 (premio nobel per la letteratura nel 2005), trova ispirazione chiaramente in Olivier Sacks ed ai suoi ‘Risvegli‘: una bambina/donna dopo ventinove anni si risveglia, per l’appunto, dopo una sorta di ibernazione per una malattia incurabile. Ciò grazie alle cure costanti e devote del suo medico, il dottor Hornby, caparbio ed ostinato nel cercare un medicinale atto alla guarigione, se non totale almeno parziale, diventato poi in seguito suo cognato sposando la sorella prediletta della malata. Deborah, come un bozzolo in attesa della sua ri-nascita, ri-prende conoscenza, ri-torna alla vita, ri-acquista d’improvviso tutti i suoi sentimenti congelati da tempo grazie a L-Dopa, dosato in forma sperimentale. Ma la ri-presa della bambina, ormai donna quatantacinquenne,  deve fare i conti con tutto il fardello del tempo trascorso: Pinter è straordinario nel descrivere tutto quel mondo nel quale la protagonista è stata sospesa come in un deformante e appiccicoso liquido amniotico, come solo la vita sa essere. La degente ci ha navigato dentro fino a trovarsene una ragione di sopravvivenza.

52418-1La ripresa alla quotidianità non è facile e non è di immediata realizzazione, ma poco importa. All’Autore importa piuttosto quello che sta intorno alla guarigione, il mondo fatto di meschinità e di piccole cose, di chiacchiericcio ospedaliero. La genialità del regista Valerio Binasco sta nel moltiplicare i piani di ascolto, portando l’azione in mezzo a noi, in mezzo al pubblico: noi siamo attori di quel piccolo grande microcosmo di quotidianità micragnosa ed inutile – la sofferenza e la malattia sono tutt’altra cosa.

Un letto d’ospedale, semplice e struggente, delle veneziane che racchiudono la scena da cui penetra la poca luce, che rischiara e ci riporta alla vita, e la storia di questa piccola grande donna buttata al centro, svelata e sverginata, sono la ricchezza e la contrapposta semplicità di questa magica serata. Il tappeto sonoro come una lunga ninna nanna accompagna le varie fasi in cui il disorientamento della protagonista va lentamente ed inesorabilmente in una direzione obbligata.

alaska_02I due interpreti principali, già ditta, visti come una coppia divertente e svagata nel bellissimo Exit di Fausto Paravidino – che è valso il premio Maschera del Teatro Italiano a Sara Bertelà come migliore attrice nel 2013 – qui invece danno grande prova di maturità e di spessore. Nicola Pannelli, trattenuto e sensibile nel difficile ruolo del medico, è sempre presente e partecipe anche nel difficile compito dell’ascolto. Sara Bertelà per tutta la durata dello spettacolo – un’ora abbondante – è una sottile corda tesa, costante e vibrante fin dal suo risveglio: ride, piange, scherza, si commuove con noi. Uno spettro continuo e variegato di sentimenti espressi sempre al massimo, con momenti di commozione vera e partecipata. Grandissima prova d’attrice che la conferma come una delle migliori attrici italiane. Orietta Notari completa il cast con la sua consueta bravura e generosità.

Mario Di Calo

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