Avete mai visto un direttore d’orchestra ballare? Toglietevi dalla testa l’immagine di Karajan strafatto sotto braccio a Liza Minnelli allo Studio 54. Qui parliamo di Daniel Harding, che quindici anni fa era una delle più grandi promesse della conduzione d’orchestra… promessa da tempo ampiamente mantenuta. Lo vidi per la prima volta nel 2001 al Comunale di Firenze e, più che dalla maturità interpretativa, fui colpito dall’eleganza dei suoi movimenti sul podio: movimenti ampi ed aggraziati che rendevano l’esecuzione, e la direzione in particolare, una vera “performance”. La seconda volta che lo vidi fu l’anno successivo, al teatro Comunale di Bologna, quando, come bis, decise di concedere il primo movimento della 5° sinfonia di Beethoven… ne aveva di fegato il ragazzo, eh?

Bisogna dire che negli anni si è calmato, che sul podio non danza più come una volta, ma che il suo stile di conduzione è rimasto lo stesso. Ed è, quindi, stato un grandissimo piacere vederlo inaugurare il Bologna Festival 2013 dirigendo la 5° sinfonia di Mahler. Io Mahler lo amo, anche se la quinta sinfonia non è proprio una delle mie opere preferite. Forse perché la furia espositiva che la caratterizza è stata spesso addomesticata: a volte molto bene, ma sempre addomesticata, ottenendo un effetto spesso freddo quando non marcatamente noioso. Harding invece no! Harding si è abbandonato (ieri sera, come due anni fa quando al Duse condusse la 9° Sinfonia) alla varietà timbrica di Mahler. In particolare alle intemperanze dei legni e degli ottoni, come un fedele che confida nel potere del proprio Dio. Il risultato, ve lo assicuro, è stato mistico. Alla fine dei settanta minuti di sinfonia, e degli infiniti applausi, si è rivolto al pubblico in un italiano corretto e fluente, spiegando quanto sia difficile concedere un bis dopo un’opera del genere, ma che, trovandosi in Italia nell’anno delle celebrazioni verdiane, non poteva esimersi dall’omaggiare il maestro di Busseto, concedendo come bis l’ouverture da “Un ballo in maschera”. Grazie, Daniel: bravo, educato e generoso.

 

E dopo Mahler, in tre mosse (slega la bici, pedala la bici e lega la bici) ho raggiunto l’altro evento musicale della serata: i Matmos al Locomotiv.

Anche i Matmos li avevo già visti una decina di anni fa al Regio di Parma: erano l’opening act del concerto di Bjork. Concerto alquanto sfortunato, caratterizzato da un ritardo di più di due ore. Il problema principale non fu tanto il ritardo, quanto il fatto che quelle due ore furono occupate da questo inquietante duo californiano che produce musica seviziando palloncini gonfiabili a distanza ravvicinata dal microfono. Non sono, quindi, andato a sentirli con i migliori auspici, ma devo dire che ieri  sera mi hanno piacevolmente stupito. Una delle caratteristiche dei Matmos resta quella di produrre musica a partire dai suoni più disparati come -appunto- seviziando palloncini o emettendo bolle con una cannuccia dentro ad una ciotola piena d’acqua. Ma questa volta il loro progetto performativo s’è rivelato più complesso, più pieno dal punto di vista musicale, anche grazie alla presenza sul palco di chitarra e batteria. Quindi se vi sconsiglio vivamente un loro DJ SET, vi consiglio invece di non farveli sfuggire quando torneranno da queste parti per un concerto vero e proprio… e da queste parti, loro, ci tornano spesso!

 

Alessandro Brusa per malacopia