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Music composed and played by Myklo 
Vocals by Evor 
Assembled and mastered by Marco MIlanesio at OFF Studio 
in winter 2013 
Pre Mastering – SoundEvolutionStudio Köln
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Disques de l’Europe Morte 2014

C’è tempo e c’è spazio.

Il tempo è ciclico e risuona rassicurante; del resto, il loop è una caratteristica ricorrente, quasi imprescindibile, di questo genere di musica. Quello che invece inquieta sono gli spazi. E di spazi ce ne sono tanti in questi suoni che nascono per riempire e svuotare ambienti, menti e frammenti di ossa.

C’è, spazio, molto spazio. Suono traslato nello spazio, in quello spazio pieno di corpi e al tempo stesso così vuoto, caldo e freddo, nero abbacinante e bianco denso, che risuona eppure è sordo. Uno spazio che è tutt’altro che rassicurante, uno spazio che spiazza.

Sono partito in quarta a scrivere ma, in realtà, prima ho passato molto tempo ad ascoltare e a pensare a cosa scrivere. Devo ammettere che quando ho cominciato a riflettere su come presentare questo bel lavoro, mi sono trovato invischiato in due pensieri “melmosi”.

Il primo riguarda me o – se vogliamo – la mia identità musicale. Non sono un musicista, per anni mi sono limitato a strimpellare la chitarra e amo cantare. Tanto meno sono un esperto di musica (non lo sono di nulla, in verità) perché non ho mai studiato, approfondito, affrontato scientificamente il mondo della musica. Però ho coltivato con passione l’ascolto. Sono stato e sono tuttora un ascoltatore, evidentemente dilettante, ma ascoltatore, appassionato, attento e disattento il giusto, al contempo.

Secondo pensiero: si può davvero scrivere di musica? Che poi è lo stesso problema che chi scrive ha con l’arte figurativa: si può scrivere (e non intendo descrivere) di un quadro, una scultura, un monumento? Problemi che contrappongono da secoli artisti e critici. Sono volate botte da orbi. E lo so. E la faccio breve: non me ne frega proprio nulla. Io esprimo quello che sento. Queste righe non chiamiamole dunque recensione o critica o blablabla… Le definizioni non mi interessano. Diciamo, in questo caso, che scrivo perché ascolto.

Malacopia_Aeral_Camillo_CammarotaIl problema però resta. Come scrivo di questa musica che crea Camillo Cammarota? Non si tratta di un album di canzoni, che offrono sempre coi loro testi un ottimo appiglio a cui può aggrapparsi uno che scrive (così mi si è rivelata la visione parziale che pure ho della musica: da scrittore, ho finito spesso per valorizzare più i testi che la musica, scordando che le belle canzoni sono tanto gli uni quanto l’altra, e al tutto si aggiunga il ruolo determinante dell’interprete).

Per fortuna, mi sono venute in soccorso le bellissime lezioni di Diego Schiavo, ascoltate per anni al Politecnico di Milano, sul suono e sulla sua dimensione emozionale. Il suono, e quindi la musica, si esprimere nella dimensione in cui possiamo tradurre l’ascolto in emozioni.

E Areal, dunque, il lavoro di Camillo Cammarota, frutto della bella sinergia con Evor by NG, e della sua etichetta Disques de l’Europe Morte, è da vivere a livello emozionale. Suoni digitali e frammenti di voce formano non una colonna sonora, che scorre col film sullo schermo, ma un’istallazione. Ci si muove nello spazio seguendo le sonorità che vibrano intorno, non importa se tra quattro pareti o fuori da un’astronave.

C’è spazio per le emozioni, dunque. Ed emozioni che vivono nello spazio e nel tempo. Io ci ho scorto la stessa nera inquietudine che ritrovo a volte in me stesso se chiudo gli occhi e mi ascolto, quando sento i miei pensieri che ribollono nel magma del mio io.

Intenso e accorato, nero come le profondità dello spazio ma sfrangiate d’oro. Da contemplare.

Marco Melluso per malacopia